Multitasking e efficienza cognitiva

La società occidentale si muove per lo più con una certa frenesia. Esigenze di velocità e prestazione hanno promosso lo sviluppo di strategie e strumentazioni per riuscire a svolgere tutte le attività e le mansioni richieste dalla quotidianità.

Certi strumenti, frutto della tecnologia, sono progettati proprio per semplificare la vita e migliorarne la qualità, poiché consentono di portare a termine più impegni contemporaneamente. Di pari passo al loro utilizzo le persone tendono a compiere più attività simultaneamente, un comportamento richiesto dai contesti di vita che viene comunemente chiamato multitasking.

Che cosa si intende per multitasking?

Si tratta di un termine nato in ambito informatico per indicare la capacità del computer di svolgere più compiti nello stesso momento. Successivamente utilizzato in ambito umano con la stessa accezione.

Nel tempo gli studiosi delle neuroscienze si sono sempre più interessati alla comprensione di questa modalità di procedere nelle attività e agli eventuali vantaggi e svantaggi associati. Nelle ricerche sull’argomento, il multitasking viene definito come la capacità di passare da un’attività all’altra in rapida sequenza, per poi tornare dove ci si era interrotti (in inglese “switching”).

Si tratta di una strategia riscontrabile in molti contesti lavorativi e organizzativi, come quello di Davide, tecnico commerciale di una famosa multinazionale specializzata nell’ambito informatico ed elettronico.

Durante le sue otto ore di lavoro Davide deve destreggiarsi per riuscire a portare a termine tutti i compiti e gli incarichi che gli sono stati affidati. Tra una chiamata e l’altra dei clienti deve preparare gli ordini richiesti, elaborare nuove promozioni e offerte e risolvere i problemi dell’ultimo minuto.

Image by Matthew (WMF) – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Molto spesso si trova a spostare velocemente l’attenzione da un compito che prevede l’inserimento di dati all’interno di un file per rispondere alla chiamata di un cliente. Al termine di questa deve concentrarsi di nuovo su quello che stava facendo, riprendendo il filo da dove si era interrotto.

Questi passaggi sequenziali richiedono tempo per la riallocazione delle risorse attentive e un consumo non indifferente di capacità cognitive.

Fisiologia del multitasking

Ma che cosa accade nel cervello di Davide quando opera questo switching?

Mentre sta lavorando al foglio elettronico i neuroni che svolgono la specifica funzione sono stimolati, secondo un processo denominato “attivazione della regola”. Nel momento in cui riceve una chiamata il sangue affluisce velocemente alla corteccia prefrontale anteriore, la quale funziona come una centralina di comando e pone il cervello in stato di allerta.

Image by © FERNANDO DA CUNHA/BSIP/Corbis

Lo “avvisa”, cioè, che deve spostare l’attenzione su un nuovo compito (sganciamento). Sono attivati allora specifici neuroni, differenti da quelli precedenti, che gli permettono di eseguire il secondo compito.

Queste fasi si compiono ogni volta che si passa da un compito all’altro e richiedono tempo e risorse cognitive.

Costo cognitivo

Contrariamente a ciò che si pensa, il multitasking comporta diversi costi e conseguenze poco note.

In primo luogo, mentre si è impegnati in molteplici attività contemporanee, l’apprendimento di nuove nozioni avviene in modo subordinato.

Le nuove informazioni anziché essere elaborate nell’ippocampo, sede dei circuiti implicati nei processi mnemonici, vengono processate nel corpo striato, struttura preposta all’implementazione di abilità e procedure automatizzate, come quelle che servono per andare in bicicletta o suonare uno strumento.

Con il risultato però che certe informazioni apprese diventino disponibili ad un livello diverso in termini di utilizzo.


Rappresentazione dell’ippocampo e dello striato.

In secondo luogo, l’uso frequente del multitasking porta a un aumento della produzione di cortisolo, chiamato anche ormone dello stress, con il risultato di una sovra-stimolazione del cervello, che può produrre confusione mentale.

Il sistema di gratificazione cerebrale

Questa condizione prolungata nel tempo, inoltre, provoca l’alterazione del sistema dopaminergico. Si tratta di un sistema cerebrale che regola i processi di gratificazione e piacere associati a stimoli desiderabili, come per esempio certi comportamenti e certe sostanze psicostimolanti.

La dopamina è coinvolta nel controllo di funzioni fondamentali per il comportamento emozionale, come potrebbe essere l’avvicinamento a un obiettivo desiderato.


La dopamina è rilasciata nel sistema di ricompensa cerebrale in risposta ad uno stimolo importante per l’adattamento. Esso è unito alla gratificazione e alla sensazione di piacere. Il piacere rappresenta il vissuto affettivo che motiva la ripetizione dei comportamenti associati a quel piacere stesso.

L’alterazione di cui parliamo può portare a manifestare una sorta di dipendenza nel compiere simultaneamente sempre più attività, unita a un senso di disagio nei momenti in cui sarebbe possibile fare una cosa alla volta. Questo disagio può aumentare fino a condizioni di particolare ansietà.

Un esempio classico è la sensazione che può provare un imprenditore in vacanza – o un lavoratore con ruoli di responsabilità -, quando fatica a staccarsi dal lavoro e passa le giornate al telefono o al pc per controllare come procedono gli affari, anziché rilassarsi e andare altrove col pensiero, finalmente.

Il multitasking varia in base all’età e al sesso?

Nel pensiero comune, l’abilità di svolgere più attività contemporaneamente varia a seconda dell’età e del sesso, in particolare si crede che i giovani siano più capaci di svolgere molte azioni nello stesso momento e che le donne siano più propense a dividere l’attenzione tra più compiti contemporaneamente.

Età e multitasking

Neider e collaboratori (2011) hanno studiato la relazione che intercorre tra il progredire dell’età e il multitasking. In una loro ricerca hanno confrontato due gruppi di soggetti, osservando il loro comportamento in un ambiente virtuale: studenti dai 18 ai 26 anni e adulti dai 59 agli 81.

I soggetti camminavano su un tapis roulant ed erano proiettati in una scena quotidiana, in cui dovevano attraversare la strada con tre condizioni differenti. Senza distrazioni, ascoltando musica, parlando con lo sperimentatore.

Nella prima e seconda condizione anziani e studenti hanno avuto prestazioni molto simili. Le persone più anziane nella condizione in cui erano impegnate a parlare con lo sperimentatore impiegavano 30 secondi in più per attraversare la strada, a differenza di quelle più giovani. Questo risultato è una prova a favore delle capacità di multitasking influenzate dall’età.

Reti neurali e stimoli visivi

Un risultato analogo è stato ottenuto in uno studio di Adam Gazzaley et al. (2010) in cui i partecipanti dovevano osservare delle immagini che comparivano in rapida successione e poi dire se l’ultima immagine era uguale alla prima presentata. Durante l’intera procedura erano monitorati con risonanza magnetica funzionale (fMRI), un esame diagnostico che permette di visualizzare l’attivazione di diverse reti neurali a seconda della tipologia delle immagini (volti o paesaggi).


Possibile sequenza delle immagini che vengono presentate durante la ricerca.

Il campione era costituito da due gruppi: 20 soggetti di età compresa tra i 60 e i 75 anni e 22 soggetti dai 18 ai 32 anni. Ciò che si è potuto osservare nella ricerca è che le persone più anziane erano maggiormente in difficoltà nel compito di riconoscimento.

Per elaborare correttamente le differenti immagini presentate sono attivate in modo alternato le reti di neuroni deputate alla loro analisi. In particolare, se viene presentato un paesaggio seguito da un volto, il cervello deve sganciare l’elaborazione del paesaggio e attivare aree differenti per l’analisi del secondo stimolo, il volto. Per tornare all’immagine vista prima dell’interruzione, devono disattivarsi i neuroni deputati al ricordo del volto per permettere l’attivazione di altri circuiti.

Negli anziani la capacità di attivare e disattivare le diverse reti di neuroni è rallentata, con il conseguente declino delle prestazioni di multitasking in relazione all’aumento dell’età.

Genere e multitasking

Per quanto riguarda il genere, è stato condotto uno studio da Hirnstein e collaboratori (2018) che prendeva in considerazione 148 partecipanti, 82 maschi e 66 femmine, dai 18 ai 60 anni. Con un’ampia fascia d’età, quindi, e una vasta diversificazione educativa.

Sono stati sottoposti a un compito che simulava il lavoro in ufficio. Si tratta del CMPT, o computerized meeting preparation task. Il soggetto deve partecipare ad un incontro e nel frattempo eseguire alcuni compiti che gli compaiono sulla schermata, come per esempio portare delle bevande. Deve inoltre ricordare due consegne fornite all’inizio dell’esperimento e non farsi distrarre da altri avvisi che appaiono tra i compiti che deve svolgere.

Confrontando i risultati ottenuti sia dai maschi che dalle femmine, si può osservare che non sono presenti significative differenze. In conclusione è possibile smentire il mito secondo cui le femmine sarebbero più abili dei maschi a dividere l’attenzione fra più compiti contemporanei o alternati in rapida successione.

Schermata raffigurante la sala principale in cui si svolge la riunione computerizzata

Diverse reti di attivazione cerebrale

In effetti non sono state evidenziate delle differenze comportamentali tra i sessi, ma attraverso gli strumenti di neuroimmagine come la Risonanza magnetica funzionale o fMRI, si può osservare come nei maschi e nelle femmine vi sia un diverso grado di attivazione delle aree cerebrali coinvolte durante l’esecuzione di attività svolte in simultanea.

Rispetto agli uomini, le donne hanno mostrato una maggiore attivazione del giro paracingolato anteriore destro, della corteccia prefrontale destra e della corteccia orbitofrontale sinistra se i due compiti richiedono l’elaborazione di stimoli verbali.

In un doppio compito di tipo spaziale, invece, gli uomini rispetto alle donne hanno mostrato una maggiore attivazione della corteccia intracalcarina sinistra e della corteccia occipitale laterale.

Scansioni con fMRI. La prima riga di immagini mostra le aree maggiormente attivate negli uomini durante doppio compito spaziale. Nella seconda riga si possono osservare le aree maggiormente attivate nelle donne durante doppio compito verbale.

Multitasking, memoria di lavoro e intelligenza

In molti contesti lavorativi le abilità di multitasking costituiscono un prerequisito per l’assunzione in specifiche occupazioni, come quelle dirigenziali e impiegatizie.

Nello studio di Colom e colleghi (2010), sono stati individuati due indici predittivi di un migliore funzionamento delle capacità di multitasking: la memoria di lavoro o WMC e l’intelligenza.

La prima è intesa come l’abilità di trattenere informazioni per brevi periodi di tempo durante l’esecuzione di un’altra attività simultanea; la seconda è definita come una facoltà mentale molto generale che comprende, per esempio, il ragionamento, la pianificazione e la risoluzione di problemi.

La WMC è stata testata attraverso dei compiti che misurano la capacità della memoria a breve termine (span di memoria, ovvero numero di cifre ricordate in serie). Questi punteggi sono stati combinati con quelli ottenuti ai test che misuravano le abilità di dividere l’attenzione, cioè la capacità di prestare attenzione a più cose contemporaneamente o in rapida successione alternata.

I risultati ottenuti da questo studio possono avere un’implicazione pratica nel mondo del lavoro ed essere utilizzati dalle agenzie per selezionare persone che siano in grado di ricoprire adeguatamente profili professionali le cui mansioni richiedono un continuo passaggio da un’attività all’altra.

Conclusione

Questa trattazione ha lo scopo di mettere in luce le caratteristiche e i limiti di un comportamento divenuto importante e richiesto dalla nostra quotidianità. Lo svolgimento di più impegni contemporanei o il rapido passaggio alternato da un compito all’altro è una strategia intesa a ottimizzare il modo di impiegare il tempo e i cui svantaggi sono poco noti.

L’abitudine a compiere più azioni contemporaneamente può portare nel lungo periodo ad un aumento dell’ormone dello stress, con effetto tossico sull’organismo. Porta all’aumento cronico della sovra-produzione di dopamina, che a sua volta può instaurare una dipendenza. La ricerca attiva e incessante di impegni simultanei o ravvicinati inibisce il riposo e può a lungo andare produrre una condizione di tensione o ansia quando si devono svolgere azioni singole, o fermarsi. In alcuni studi si è poi evidenziato che i risultati delle prestazioni eseguite in contemporanea ad altre sono peggiori rispetto a quelli che si otterrebbero facendole singolarmente.

Per organizzare le proprie giornate è conveniente spendere un po’ di tempo, come si è visto. L’idea di risparmiarlo, infatti, è illusoria e non risulta sempre vantaggiosa. Prendersi il tempo per svolgere ogni impegno e pianificare come distribuire le proprie risorse potrebbe essere la soluzione migliore.

Articolo scritto a sei mani con Linda Rampado e Chiara Chiuchiolo

Referenze bibliografiche

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